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Normalization of testosterone levels after testosterone replacement therapy is associated with decreased incidence of atrial fibrillation

Sharma R, Oni OA, Gupta K, Sharma M, Sharma R, Singh V, Parashara D, Kamalakar S, Dawn B, Chen G, Ambrose JA, Barua RS.
J Am Heart Assoc. 2017 May 9;6(5). pii: e004880. doi: 10.1161/JAHA.116.004880.

 


RIASSUNTO

BACKGROUND: Atrial fibrillation (AF) is the most common cardiac dysrhythmia associated with significant morbidity and mortality. Several small studies have reported that low serum total testosterone (TT) levels were associated with a higher incidence of AF. In contrast, it is also reported that anabolic steroid use is associated with an increase in the risk of AF. To date, no study has explored the effect of testosterone normalization on new incidence of AF after testosterone replacement therapy (TRT) in patients with low testosterone.
METHODS AND RESULTS: Using data from the Veterans Administrations Corporate Data Warehouse, we identified a national cohort of 76 639 veterans with low TT levels and divided them into 3 groups. Group 1 had TRT resulting in normalization of TT levels (normalized TRT), group 2 had TRT without normalization of TT levels (nonnormalized TRT), and group 3 did not receive TRT (no TRT). Propensity score-weighted stabilized inverse probability of treatment weighting Cox proportional hazard methods were used for analysis of the data from these groups to determine the association between post-TRT levels of TT and the incidence of AF. Group 1 (40 856 patients, median age 66 years) had significantly lower risk of AF than group 2 (23 939 patients, median age 65 years; hazard ratio 0.90, 95% CI 0.81-0.99, P=0.0255) and group 3 (11 853 patients, median age 67 years; hazard ratio 0.79, 95% CI 0.70-0.89, P=0.0001). There was no statistical difference between groups 2 and 3 (hazard ratio 0.89, 95% CI 0.78- 1.0009, P=0.0675) in incidence of AF.
CONCLUSIONS: These novel results suggest that normalization of TT levels after TRT is associated with a significant decrease in the incidence of AF. 

COMMENTO

La fibrillazione atriale rappresenta la più frequente aritmia cardiaca, con un costo non indifferente per la salute pubblica mondiale; identificare e trattare i possibili fattori causali riveste pertanto un ruolo fondamentale nella gestione del paziente, soprattutto nell’ottica della prevenzione. La prevalenza dell’ipogonadismo, come noto, è in costante crescita per l’aumentare dell’aspettativa di vita media: parimenti, la fibrillazione atriale colpisce più frequentemente soggetti di età avanzata. Una possibile associazione fra fibrillazione atriale e bassi valori di testosterone è stata riscontrata in numerosi recenti studi clinici e preclinici, sebbene non siano emersi dalla letteratura dati conclusivi in merito al ruolo della terapia sostitutiva con testosterone. Lo studio di Sharma e colleghi, che prosegue un filone di ricerca inerente alla safety cardiovascolare della terapia con testosterone, mira a colmare questo vuoto: facendo ricorso al database del Department of Veterans Affairs statunitense, gli autori hanno retrospettivamente raccolto i dati di oltre 117 mila soggetti maschi con bassi valori di testosterone per valutare il possibile ruolo della terapia con testosterone sulla fibrillazione atriale.
Di questi 117094 ipogonadici, ne sono stati selezionati circa 76 mila e sono stati analizzati mediante una divisione in tre bracci: soggetti non trattati, soggetti trattati inadeguatamente, e soggetti con normali valori di testosterone durante il trattamento. Nessuno dei soggetti analizzati 
aveva riscontrato un problema di fibrillazione prima dell’eventuale inizio del trattamento. Nell’analisi statistica, numerose covariabili sono state analizzate nell’ipotesi di una possibile interferenza con la terapia sostitutiva: fra queste, il BMI, la presenza di numerose comorbidità, l’assunzione di farmaci con nota efficacia anticoagulante o antiaritmica.
I risultati dell’analisi hanno consentito agli autori di trarre importanti conclusioni: la normalizzazione dei valori di testosteronemia si traduce in una significativa riduzione dell’incidenza di fibrillazione atriale. I soggetti adeguatamente trattati, difatti, presentavano un rischio significativamente inferiore rispetto sia ai controlli, sia ai soggetti trattati con dose insufficiente di testosterone.
Tuttavia, lo studio di Sharma e colleghi presenta alcune significative limitazioni. Come già osservato per altri studi che sembravano evidenziare un collegamento fra terapia sostitutiva e aumentata incidenza di eventi cardiovascolari, il database del Veteran Affairs fornisce i codici ICD9 per le diagnosi e le eventuali terapie. Questo si traduce, sul piano clinico, in possibili fraintendimenti riguardo ai criteri di inclusione ed esclusione. Inoltre, non è possibile dai dati disponibili ottenere informazioni in merito alla posologia della terapia: la distinzione dicotomica tra “trattato” e “non trattato” rende difficile valutare quale fra le formulazioni disponibili sia la più adeguata a prevenire l’insorgenza della fibrillazione atriale. Oltre a queste due limitazioni, chiaramente riconosciute dagli autori, vale la pena sottolineare come manchi un dato numerico ed oggettivabile riferibile ai valori di testosterone raggiunti dai soggetti trattati: questa scelta ha un razionale, dal momento che risulta impossibile comparare valori provenienti da diversi laboratori, ma non consente di identificare eventuali valori “soglia” per l’effetto clinico.
Un’ulteriore vulnerabilità dello studio deriva dalla mancata distinzione fra le cause di ipogonadismo. I criteri di inclusione prevedevano solo la misurazione del testosterone totale, senza distinguere fra forme primitive o secondarie: le possibili differenze, ad esempio,  tra forme di ipogonadismo correlate all’esercizio fisico e quelle conseguenti a orchiectomia per neoplasia potrebbero essere fattori non indifferenti nell’analisi dell’outcome.
In conclusione, lo studio rappresenta un primo, significativo passo per la comprensione del ruolo della terapia sostitutiva con testosterone nella patogenesi della fibrillazione atriale. Tuttavia, alcune problematiche derivanti dalla progettazione e dalla metodologia di studio non consentono del tutto di identificare un nesso causale: studi randomizzati di controllo adeguatamente disegnati potrebbero essere necessari per la valutazione dell’esatta portata del fenomeno. 

 
Prof. Francesco Romanelli, Dott. Andrea Sansone
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell'Alimentazione ed Endocrinologia
Sapienza – Università di Roma
Viale Regina Elena 324, 00161 Roma
email: [email protected]

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