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Disordini Ipofosforemici e Iperfosforemici


Coordinatori

  • Maria Luisa Brandi

Contatti


Presentazione

IL FOSFATO

Il fosforo è uno degli elementi più rappresentati nell’organismo. Un individuo normale assume giornalmente da 800 a 1500 mg di fosfato al giorno. La maggior parte del fosforo si ritrova sotto forma di sali di fosfato, presente nel corpo umano in quantità di 500-700 grammi. Circa l’85% del fosfato è contenuto nell’osso, in particolare nei cristalli di idrossiapatite. Il fosfato extracellulare è regolato dai principali ormoni regolatori del metabolismo minerale, quali il paratormone, la 1,25 diidrossivitamina D e il fibroblast growth factor 23 (FGF23) che modulano il suo assorbimento intestinale, il riassorbimento renale e la mineralizzazione mantenendo una concentrazione ematica tra 2,5 e 4,5 mg/dl nell’organismo adulto. Nel neonato e nei bambini la fosfatemia è il 50 e 30% più elevata, a garantire che i processi di crescita e mineralizzazione si svolgano adeguatamente. Lo scheletro è il maggiore reservoir del fosfato ed il maggiore produttore di FGF23, secreto dagli osteociti. Mentre la 1,25 diidrossivitamina D fa assorbire il fosfato a livello intestinale, il paratormone ed in particolare l’FGF23 ne favoriscono l’escrezione renale, essendo fosfaturici . L’escrezione renale di fosfato è finemente regolata. L’escrezione giornaliera equivale al fosfato assorbito a livello intestinale al fine del mantenimento dell’omeostasi minerale. Una deplezione di fosfato può verificarsi in varie condizioni (alcolismo, ustioni, digiuno prolungato, utilizzo di certi diuretici) . In risposta ad una carenza di fosfato il rene ne aumenta prontamente il riassorbimento per correggere l’ipofosfatemia. Alcune malattie si caratterizzano invece per un’alterazione primitiva dei meccanismi di riassorbimento renale, per cui una maggiore quota di fosfato viene escreta con le urine e si riduce conseguentemente la sua disponibilità nel sangue e nei tessuti. Se viene riassorbita una quota minore di fosfato a livello renale, come nell’insufficienza renale, o per difetto di PTH o FGF23 ( ipoparatiroidismo e calcinosi tumorale , rispettivamente ) si determina una ritenzione di fosfato con ( iperfosfatemia )

RACHITISMO IPOFOSFATEMICO

Il rachitismo ipofosfatemico è una condizione congenita, geneticamente determinata, caratterizzata da ipofosfatemia, con alterazioni scheletriche tipiche (deformità ossee) che insorgono non appena il bambino inizia a d assumere la stazione eretta e a deambulare. Altre manifestazioni, come alterazioni dentarie (per anomalia dentinale) si verificano anche più precocemente. Tali forme di rachitismo sono tipicamente resistenti alla somministrazione della vitamina D. L’alterazione ematochimica è l’ipofosfatemia, accompagnata da un’aumentata escrezione urinaria di fosfati. Tale anomalia del metabolismo minerale si realizza per un diminuito riassorbimento renale di fosfato per un eccesso di fosfatonine come l’ FGF23, che in condizioni normali ne favoriscono l’eliminazione urinaria. Varie alterazioni genetiche possono essere re s ponsabili. Il più frequente rachitismo ipofosfatemico è quello dovuto all’alterazione del gene PHEX, con trasmissione legata al cromosoma X, ovvero dalla madre. Altre forme di rachitismo ipofosfatemico includono altre forme più rare, sempre caratterizzate da ipofosfatemia causata da una perdita urinaria di fosfati indotta da eccesso di fosfatonine . In taluni casi, un quadro di aumentata perdita urinaria di calcio ( ipercalciuria ) si può associare. Il precoce difetto di fosfato determina un’alterazione della mineralizzazione delle placche di crescita ossea . L’osso non adeguatamente mineralizzato si deforma in prossimità delle giunzioni cartilaginee e la crescita è alterata. Possono associarsi segni di osteomalacia come pseudofratture, dolore osseo, vari gradi di miopatia ed alterazioni articolari artrosiche, soprattutto evidenti nell’età adulta, conseguenti alle deformità ossee. La terapia con sali di fosfato, associata a metaboliti attivi della vitamina D (calcitriolo, alfa- calcidolo ), è obbligatoria in età infantile ed adolescenziale al fine di favorire la corretta mineralizzazione, la crescita ossea, prevenire e trattare le anomalie dentinali/dentarie. E’ opportuno proseguire la terapia nell’età adulta, soprattutto ove siano previsti interventi di correzione ortopedica delle deformità ossee o di alterazioni osteoartrosiche . In futuro potranno rendersi disponibili terapie specifiche per questa patologia, costituite da anticorpi contro l’FGF23, attualmente nelle fasi finali di sperimentazione.

OSTEOMALACIA ONCOGENICA

L’osteomalacia oncogenica è un disordine acquisito del metabolismo del fosfato, caratterizzato da un’ipofosfatemia che si realizza a causa di una perdita urinaria di fosfati determinata da un eccesso di FGF23 inappropriatamente secreto da un tumore mesenchimale. I pazienti colpiti, in genere nella terza-quinta decade di vita, sviluppano di solito in breve tempo un’importante sintomatologia caratterizzata da dolori osteo-muscolari, debolezza muscolare, fratture e pseudofratture, in assenza di deformità ossee, tipiche invece di condizioni di rachitismo. L’ipofosfatemia da perdita renale di fosfati è accompagnata da un incremento sig nificativo dei livelli di fosfatasi alcalina, diagnostica del quadro osteomalacico. Nel tessuto scheletrico la matrice ossea non mineralizzata si accumula e determina una ridotta resistenza ossea ed il dolore osseo. I tumori responsabili di tale patologia sono in genere piccoli e spesso di difficile localizzazione. Oltre a metodiche TAC e RMN, la medicina nucleare può offrire tecniche di localizzazione quando i tumori esprimono particolari caratteristiche recettoriali che li rendono evidenziabili in esami scintigrafici. L’ipofosfatemia può essere corretta con sali di fosfati e la contemporanea somministrazione di vitamina D biologicamente attiva (calcitriolo, alfa- alcidolo ). Tuttavia, la rimozione chirurgica completa del tumore costituisce la terapia elettiva di tale patologia. Il quadro clinico dell’osteomalacia è prontamente reversibile in seguito alla normalizzazione dei livelli di FGF23, con un netto miglioramento delle condizioni generali. Nei casi non operabili per mancata localizzazione del tumore o nelle persistenze/recidive al trattamento chirurgico, in futuro potrebbero essere utilizzate terapie specifiche quali gli anticorpi contro l’FGF23, attualmente in fase di sperimentazione.

 


Obiettivi

in aggiornamento